Chi si rivolge allo psicoterapeuta lo fa principalmente perché vive delle emozioni intense e sgradevoli che non riesce a gestire e che causano un significativo abbassamento del livello della sua qualità di vita. Aiutare le persone a sviluppare le abilità per non farsi schiacciare dalle emozioni è, dunque, una delle priorità di qualunque psicoterapeuta.
Per poter avere a che fare in modo efficace con le emozioni è di primaria importanza conoscere con chi abbiamo a che fare. Le emozioni sono state studiate da numerosi ricercatori i quali hanno dato numerose definizioni, talvolta anche molto diverse tra loro. Una trattazione esauriente richiederebbe molto spazio per cui, volendo semplificare, ma non banalizzare, possiamo affermare che le emozioni sono un fenomeno complesso, costituito da diversi componenti. Di seguito analizzeremo i più importanti.
Le tre componenti principali delle emozioni sono:
1) quello che sento nel corpo: le sensazioni fisiche. L’emozione comporta un’attivazione fisiologica che genera sensazioni che la persona può percepire: possiamo così sentire tensione muscolare, oppure percepiamo il cuore accelerare, sentiamo nausea e nodo allo stomaco o il respiro che si fa più difficoltoso. È interessante notare che le emozioni, a parte la tristezza, mostrano schemi di attivazione fisiologica piuttosto simili. Ma se il mio corpo invia pressoché gli stessi segnali sia quando sono in ansia che quando sono arrabbiato o quando sono eccitato, che cos’è che mi permette di capire quale emozione sto vivendo? Ecco, allora che interviene la seconda componente;
2) la componente cognitivo/valutativa: quando accade un evento il sistema cognitivo lo valuta, lo confronta con esperienze passate e mi dà le informazioni per poter identificare un’emozione rispetto ad un’altra. Questa valutazione cognitiva può essere approfondita, come nel caso delle cosiddette emozioni sociali: se prendiamo ad esempio il senso di colpa, la persona che lo sperimenterà effettuerà le seguenti valutazioni:
In conseguenza di queste valutazioni la persona si sentirà in colpa.
Altre emozioni più basiche presentano livelli di valutazione molto più primitivi, ad esempio la paura si attiva quando il mio sistema valutativo ha individuato un pericolo generico, senza ulteriori analisi.
3) La componente comportamentale. Ogni emozione aumenta la probabilità che io mi comporti in un certo modo piuttosto che in un altro: la rabbia aumenta la probabilità che io alzi la voce, rompa un oggetto o sbatta con violenza la porta; l’ansia aumenta la probabilità che io non mi presenti ad un appuntamento ritenuto pericoloso mentre la tristezza accresce le possibilità che mi infili nel letto sotto strati di coperte. Abbiamo parlato di probabilità, tuttavia, e non di un collegamento diretto tra emozione e comportamento. Infatti la componente dell’emozione di cui stiamo parlando è detta conativa e costituisce una tendenza all’azione, ossia la spinta a comportarsi in un certo modo; all’emozione non segue automaticamente il comportamento ma c’è la mediazione di questa spinta all’azione.
La gestione della componente conativa è di fondamentale importanza nel lavoro psicoterapeutico. I maggiori problemi nella vita delle persone sono dati, a dispetto delle apparenze, non tanto dalla componente soggettiva dell’emozione, quanto dai comportamenti che seguono la spinta ad agire delle emozioni. L’evitamento delle situazioni che mi rendono ansioso ha come conseguenze il fatto di rendermi ancora più ansioso quando incontrerò di nuovo quelle situazioni e renderà la mia vita più proverà, perché frequenterò un numero minore di ambienti, di persone, farò meno cose, in poche parole avrò meno opportunità di quante ne avrei se non evitassi; rompere oggetti urlare e offendere quando mi arrabbio è probabile che abbia un impatto negativo sulla qualità delle mie relazioni e anche su altri ambiti (immaginiamo cosa potesse accadere se reagissi così con il mio capo al lavoro).
La capacità, dunque, di non dare seguito alla componente conativa, quando questa porta a comportamenti disfunzionali ma di metterne in atto altri più adeguati, permetterebbe all’individuo di rompere circoli viziosi dentro cui è intrappolato e di sostituirli con circoli virtuosi, i quali a loro volta comporterebbero, indirettamente, una riduzione consistente delle emozioni negative (se quando mi arrabbio con il mio partner, anziché urlare e inveire, mettessi in atto comportamenti più pacati, volti a cercare di risolvere il problema che è emerso è più probabile che la qualità della mia relazione migliori, che ci sia più spazio per le sensazioni positive e di conseguenza avrò meno occasioni per arrabbiarmi).